Foto ripresa da: http://www.romaviva.com |
di Walter Rodinó
Dal 1945 ad oggi ho vissuto a Roma gran parte della mia vita ed anche quando ne sono stato lontano, dalla metà del ’48 alla metà del ’53, fu sempre con essa che ho comparato i tanti altri luoghi che, nel corso della mia vita, ho avuto l’occasione di vedere.
Ricordo la Roma del dopoguerra che era cosa ben lontana dai trionfalismi mussoliniani, una città umiliata, con gran parte del commercio in mano ai contrabbandieri, invasa da soldati di varie nazionalità. Una città in gran parte risparmiata dai bombardamenti e che tuttavia risentiva dei disservizi: poco gas, pochi mezzi di trasporto pubblici, soggetta a sopportare ancora le regole imposte dal fascismo come la circolazione dei beni soggetti ai dazi o delle persone per cui non si poteva acquisire la cittadinanza romana se non si era in possesso di un contratto di lavoro che non poteva essere sottoscritto se non eri già un cittadino romano. A questo si aggiungeva la paura per gli invasori specialmente da parte delle donne che temevano di stare da sole nelle strade. Ma le strade e soprattutto le piazze erano occasioni di scontri verbali accesissimi tra i sostenitori delle varie fazioni politiche che, tutte insieme godevano della libertà che per venti anni era stata soppressa.
Io abitavo in un quartiere residenziale (Prati-Delle Vittorie) (Foto a fianco) costruito tra le due guerre mondiali, quartiere con larghe strade, oggi rese impraticabili dalle tante automobili in sosta e dal traffico di passaggio dai nuovi quartieri che lo circondano e lo schiacciano sul centro della città. Ricordo quegli inverni freddi perché i termosifoni non avevano carbone da bruciare, ma non era un motivo per lamentarsi al pensiero delle sofferenze subite più a nord e alle povertà che si erano acuite al sud.
In tutto questo vi era però la convinzione e la sicurezza che ci saremmo trovati di li a poco in un mondo migliore e Roma poteva risorgere nel suo splendore.
In quegli anni del dopoguerra ogni estate tornavo dai miei nonni in Calabria e risultava evidente che era un privilegio vivere in una città che aveva una sua storia mondiale ancora visibile anche nei suoi monumenti, palazzi storici, piazze e giardini. Poi, per cinque anni, ritornai nel mio paese e Roma fu la meta estiva e quelle estati trascorse nella città eterna mi diedero il privilegio di visitarne i monumenti, cosa che mi era stata in gran parte preclusa quando i miei impegni erano la scuola e dare una mano in casa per sopperire alle difficoltà del dopoguerra. Era un tempo dove non c’erano le limitazioni che si trovano oggi: le chiese e i musei erano vuoti anche per via del periodo estivo quando i pochi turisti stranieri ed io con loro, potevano godere di quella straordinaria disponibilità di quella città che mostrava le sue bellezze e la bonarietà del suo popolo avvezzo ai tanti passaggi di papi, di invasori, di governanti e dittatori.
Era una città senza cancelli, senza portoni chiusi, senza grate, senza metal detector, dove poteva accadere che uno come me, in visita nella Basilica di San Pietro, salito dall’interno nel ballatoio della cupola centrale, imboccasse un’uscita sbagliata che invece di condurmi giù nella basilica mi fece arrivare in quell’immenso trionfo michelangiolesco che è la Cappella Sistina. Nessuno mi fermò ed io ebbi l’immenso piacere di potermi sdraiare su dei tavolati insieme a poche altre persone e ammirare quel capolavoro. Avevo 16 anni e nessuno interruppe lo stato di estasi che mi era stato concesso e che è irripetibile per come vanno oggi le cose. Lo stesso mi accadde quando visitando i musei vaticani mi introdussi nella cappella di Niccolo’ V, dove l’arte del Beato Angelico con la sua religiosità mi penetrò nel cuore grazie anche alla fortuna che ebbi di restare solo per un tempo che mi parse infinito.
Era il tempo in cui Roma era ancora una città dalle dimensioni umane, ben lontana da quelle capitali come Londra, Parigi, New York che visitai qualche anno dopo e che Roma volle più tardi imitare nelle dimensioni ma con un’improvvisazione che oggi mostra le sue vistose pecche.
Oggi la città ospita più di quattro milioni di cittadini tra quelli che vi risiedono e quelli che, vivendo nella cintura, vi entrano per lavoro ogni giorno. A questi sono da aggiungere i visitatori e si può capire come, nonostante due linee di metropolitana, qualche linea ferroviaria, qualche strada di scorrimento come l’Olimpica o il raccordo anulare, la città avrebbe un inderogabile bisogno di altre strade, di più strade ferrate, di più mezzi pubblici di trasporto per poter respirare e rendere vivibile la città che attualmente soffoca e si paralizza per ogni minimo incidente.
Roma ha bisogno di grandi progetti urbanistici che ne sappiano valorizzare le ricchezze artistiche trasformando e non ampliando il suo tessuto urbano per rendere fruibili i doni che la storia ci ha tramandato attraverso l’Impero romano, la Chiesa romana, il Barocco, il Rinascimento, che ha lasciato anche a Roma come in tante altre città italiane i suoi segni indelebili. Mi sembra che sia dovere dei romani tramandare alle generazioni future quanto hanno ereditato dai predecessori ed è loro dovere non farsi sommergere dai rifiuti, dallo smog e da quant’altro paralizza ogni iniziativa che guardi al futuro.
Roma era bella da vedere negli anni ’60, poi il terrorismo interno, quello internazionale, la delinquenza organizzata, lo sviluppo urbanistico improvvisato e altro le hanno tarpato le ali umiliando l’orgoglio del vivere a Roma. Quell’orgoglio ci dia la forza di ridare alla città la sua statura di città eterna.
Riportare la città a quei valori perduti significa anche contribuire alla rinascita della cinematografia che fu romana e dette all’Italia un prestigio mondiale, sviluppare la tecnologia che ebbe in Roma un notevole avvio che ne rafforzò la presenza mondiale con le sue esportazioni, ridare fiato al turismo controllandone il livello di professionalità per garantirne un costante sviluppo.
Questa è la bella Roma che sogno e che vorrei rinascesse nel suo splendore con la sua cucina, il suo pacato umorismo ed i suoi autunni incantati.
Di Walter Rodinó
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